Abbonamenti pirata a pay tv: prime denunce in Italia, si rischiano otto anni per il ‘pezzotto’

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Le partite di calcio su Sky e Dazn, le serie tv su Netflix, i film su Mediaset premium e perfino la musica su Spotify, il tutto ad un costo medio di 10 euro al mese. Per la prima volta in Italia, nella guerra alle pay tv illegali, a ‘ pagare’ sono direttamente i clienti e non più e non solo le organizzazioni che gestiscono le piattaforme pirata: la Guardia di Finanza ne ha denunciati 223 per ricettazione e per violazione dell’ articolo 171 octies della legge 633/41, quella sul diritto d’ autore. Rischiano fino ad otto anni di carcere, una multa di 25mila euro e la confisca dello strumento utilizzato per vedere i contenuti in streaming: che sia un pc, una smart tv o uno smartphone. “E’ una svolta epocale nella lotta alla pirateria, finalmente chi sbaglia paga” ha commentato l’ Ad della Lega Serie A Luigi De Siervo sulla stessa scia del presidente dell’ Anica Francesco Rutelli che parla di “un’ operazione senza precedenti”.

L’ indagine del Nucleo speciale beni e servizi delle Fiamme Gialle riguarda tutta Italia: le denunce hanno portato all’apertura di fascicoli in ben 67 procure sparse in tutte le Regioni, ad eccezione della Valle d’ Aosta. Già a settembre dell’ anno scorso la procura di Napoli aveva chiuso un’ indagine con al centro la piattaforma streaming ‘Xtreams Codes’ , un colosso internazionale con ricavi illegali per circa 60 milioni l’ anno e 5 milioni di potenziali clienti, che però non erano ancora stati individuati al momento del blitz. In questo caso, invece, i finanzieri sono riusciti dagli Ip e dalle informazioni fornite dagli stessi clienti – oltre ai dati anagrafici anche quelli relativi alle carte di credito utilizzate per i pagamenti – a individuare 223 soggetti fisici, che sono stati appunto denunciati. “Acquistando questi abbonamenti – dicono i finanzieri – i clienti non solo alimentano il circuito criminale
ma condividono con le organizzazioni i propri dati personali e bancari, esponendosi a rischi informatici di ogni tipo”.

E l’ inchiesta è tutt’ altro che chiusa: non solo sono ancora in corso gli accertamenti per individuare la centrale di trasmissione del segnale illegale, ma la Gdf ha già a disposizione i dati di almeno 800 soggetti che potenzialmente hanno utilizzato le pay tv pirata. I clienti, spiegano gli uomini del Nucleo, venivano agganciati attraverso siti vetrina, canali Telegram e gruppi chiusi su Facebook dai ‘ resellers’ , i rivenditori del segnale illegale diffuso da chi lo origina: lì avveniva il primo contatto e venivano date indicazioni su come proseguire per poter fare l’ abbonamento. Non solo. Gli accertamenti tecnici hanno anche portato alla luce un nuovo metodo utilizzato dalle organizzazioni che gestiscono le piattaforme pirata.

Prima c’ era il cosiddetto ‘pezzotto’ : al cliente, in sostanza, veniva fornito un apparecchio per poter decodificare il segnale criptato. Oggi, invece, basta una semplice stringa di un codice che viene inviato attraverso whatsapp per poter accedere ai programmi. Il segnale viene diffuso via Iptv (Internet Protocol Television), un sistema che è perfettamente legale: la differenza sta nel fatto che le piattaforme pirata, dopo aver acquisito con regolari abbonamenti i palinsesti televisivi delle pay tv ufficiali, ricodificano il segnale assemblando i flussi dei singoli canali in un unico file, che è poi quello che riceve il cliente finale. In sostanza, il segnale viene ‘ incapsulato’ in un unico flusso dati e distribuito attraverso la rete. (ANSA).